Una parte delle persone colpite dal Covid riferisce una sofferenza che non finisce con la fine della positività ma che anzi può lasciare croniche conseguenze.
Dispnea, affaticamento cronico, senso di oppressione, dolori al petto, vertigini, senso di svenimento, difficoltà di concentrazione, lentezza cognitiva, i sintomi più evidenti.
In base alla “Scheda degli infortuno da Covid” pubblicata dall’Inail, i tecnici della salute sono la categoria più coinvolta da contagi con il 37,3% delle denunce, l’82,6% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori sociosanitari con il 18,1%, i medici con l’8,5%, gli operatori socioassistenziali e il personale non qualificato nei servizi sanitari. Il restante personale coinvolto riguarda impiegati amministrativi, addetti ai servizi di pulizia, conduttori di veicoli, impiegati addetti al controllo di documenti e allo smistamento e recapito della posta, addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia e docenti, soprattutto di scuola primaria.
Diversi autori nella letteratura scientifica hanno riferito che le donne sono a più alto rischio di sintomi persistenti e coinvolgimento psicologico, portando a postulare un potenziale ruolo di fattori ormonali nella patogenesi di questa condizione.
L’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ha pubblicato lo studio clinico “Surviving Covid-19 in Bergamo Province: a post-acute outpatient re-evaluation” sulla presa in carico e cura di 767 persone che al 31 luglio avevano completato la valutazione post-dimissione per Covid. Ben 394 (51,4%) pazienti hanno riferito di essere ancora sintomatici al momento della valutazione. Affaticamento, dispnea da sforzo e palpitazioni i principali sintomi riferiti. Sono ben 341 i pazienti (44,1%) che lamentano ancora affaticamento, di cui 145 quelli affaticamento di grado moderato o grave. Le donne sono più sintomatiche e sofferenti degli uomini e riferiscono stanchezza con una frequenza doppia rispetto agli uomini. La dispnea auto-segnalata è presente in 228 pazienti (29,8%), di cui 52 con dispnea moderata o grave. Le prove di funzionalità respiratoria sono risultate patologiche nel 19% dei casi. 121 pazienti (16%) hanno perso indipendenza, anche se solo 6 di loro sono diventati moderatamente-gravemente dipendenti dagli altri. 13 pazienti (1,8%) non riescono ancora a svolgere le normali attività e lavorare e 186 pazienti (24,2%) prendono ancora i farmaci introdotti durante il ricovero, con gli anticoagulanti tra i farmaci più frequenti. 379 pazienti (49,4%) sono stati indirizzati a percorsi specialistici di cura nelle seguenti specialità: medicina respiratoria (281 pazienti; 36,6%), cardiologia (63; 8,2%), medicina fisica e riabilitazione (62; 8%) e neurologia (52; 6,8%). 222 pazienti (30,5%) convivono ancora con sentimenti traumatici correlati a Covid e la quasi totalità (679 – 95,5%) trova il modo di reagire in modo adeguato all’accaduto.
Chi è stato in terapia intensiva può avere percorsi di riabilitazione di mesi ma la mancanza di forze però può riguardare anche i pazienti che hanno sviluppato la malattia in forma blanda. Ci sono persone che fanno fatica a tornare a lavorare o che a fine giornata sono esausti. Non riescono a concentrarsi o a dormire. Chi li tutela?
Sarebbe corretto ipotizzare una invalidità da Covid-19?