I TRATTAMENTI D’INVALIDITA’ DI NATURA PREVIDENZIALE
•ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITA’
•PENSIONE DI INABILITA’
La legge 222/1984 disciplina i tre livelli di pensionamento connessi all’invalidità dalla quale deriva una compromissione alla capacità di guadagno dell’assicurato, in una occupazione confacente alle sue attitudini. La riduzione deve essere permanete e ridotta di almeno 1/3
L’ASSEGNO ORDINARIO DI INVALIDITA’
L’assegno ordinario di invalidità è una prestazione economica, non reversibile, erogata ai lavoratori dipendenti ed autonomi con infermità fisica o mentale, che determini una riduzione, superiore ai 1/3, della capacità lavorativa. Per avere diritto alla prestazione, inoltre, è necessario che il lavoratore abbia avuto accreditati cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio precedente alla data di presentazione della domanda amministrativa. La prestazione è regolata dalla legge 222/1984 e non va confusa con l’assegno di invalidità civile(articolo 13, legge 118/1971) che è invece una prestazione assistenziale, slegata dai contributi versati ed ottenibile dai soggetti che rispettano determinati requisiti reddituali.
Destinatari
L’assegno ordinario di invalidità può essere chiesto dai lavoratori dipendenti, dagli autonomi e dai lavoratori parasubordinati mentre non può essere ottenuto dai lavoratori del pubblico impiego per i quali restano in vigore le discipline speciali previste dalla normativa attuale.
Non esiste un requisito anagrafico per il conseguimento della prestazione ma solo un requisito medico-legale ed uno contributivo.
Il requisito medico legale
Per avere diritto all’assegno, ai sensi dell’articolo 1, commi 1 e 2 della legge 222/1984, è necessario che l’assicurato abbia una capacità di lavoro ridotta in modo permanente, a causa di infermità o di un difetto fisico o mentale, a meno di un terzo.
Si tenga presente, tuttavia, che l’esistenza del requisito medico-legale deve essere effettuata in relazione all’attività lavorativa confacente alle capacità dell’assicurato. In tale quadro, pertanto, non è possibile porre a fondamento della determinazione dell’invalidità le tabelle previste per la valutazione dell’invalidità civile. Queste ultime infatti sono dettate per l’accertamento della diminuzione della capacità di lavoro generica mentre per l’assegno di invalidità è necessario verificare la diminuzione della capacità di lavoro in occupazione confacenti alle attitudini specifiche dell’assicurato (Cass. 7770/2006; Cass. 17812/2003).
Il requisito contributivo
L’ulteriore requisito necessario per il riconoscimento dell’assegno di invalidità è quello cosiddetto contributivo. L’assegno infatti può essere attribuito ai lavoratori assicurati che siano iscritti al fondo da almeno 5 anni e che risultino accreditati o versati a loro favore almeno 5 anni di contribuzione di cui 3 nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda amministrativa con la quale si chiede la prestazione.
Vanno esclusi secondo l’articolo 37 del Dpr 818/1957:
• i periodi di congedo parentale;
• i periodi di lavoro subordinato all’estero che non siano protetti agli effetti delle assicurazioni interessati in base a convenzioni o da accordi internazionali;
•i periodi di servizio militare eccedenti il periodo corrispondente al servizio di leva;
•i periodi di malattia superiori ad un anno
• i periodi di iscrizione a forme di previdenza obbligatorie diverse da quelle sostitutive dell’assicurazione Ivs per i quali sia stabilito altro trattamento obbligatorio di previdenza, quando non diano luogo a corresponsione di pensione.
Al verificarsi di uno di questi eventi, i periodi corrispondenti vengono considerati neutri ai fini della determinazione del requisito contributivo. Ciò comporta che l’arco temporale per la determinazione del quinquennio lavorativo e l’individuazione del triennio di contribuzione necessaria per il perfezionamento del requisito va retrodatato per un lasso di tempo corrispondente al periodo neutro.
La durata dell’assegno
La prestazione previdenziale è riconosciuta per un periodo di tre anni ed è confermabile, su domanda del titolare, per periodi della stessa durata qualora permangano le condizioni medico legali che diedero luogo alla liquidazione. La domanda di conferma va presentata entro i 6 mesi dalla data di scadenza del triennio e sino al 120° giorno successivo alla scadenza medesima. Dopo tre riconoscimenti consecutivi l’assegno di invalidità è confermato automaticamente, ferma restando la facoltà di revisione. Da ciò consegue che dopo il terzo riconoscimento continuo non è piu’ necessario presentare all’Inps la domanda di conferma dell’assegno.
La revisione
Secondo quanto dispone l’articolo 9 della legge 222/1984 l’Inps può in qualsiasi momento (e quindi sia nel corso dei primi tre trienni che dopo la conferma definitiva) sottoporre il titolare della prestazione ad accertamenti medico legali per la revisione dello stato di invalidità. Normalmente tale verifica viene rimessa alla libera determinazione dell’ente previdenziale. La revisione, invece, deve essere necessariamente disposta nell’ipotesi in cui risulti che nell’anno precedente il titolare della prestazione abbia percepito un reddito da lavoro dipendente, con esclusione di trattamento di fine rapporto, ovvero un reddito da lavoro autonomo o professionale o d’impresa per un importo lordo annuo, al netto dei soli contributi previdenziali, superiore a tre volte l’ammontare del trattamento inps minimo (cioè per il 2018 poco oltre i 1.500 euro al mese).
L’Importo
L’assegno è calcolato sulla base dei contributi effettivamente versati. Il sistema di calcolo è misto se c’era contribuzione antecedente il 1996 secondo quanto prevedono le regole generali: retributivo sino al 2011 se c’erano almeno 18 anni di contributi accreditati entro il 31.12.1995 e contributivo sulle quote successive; oppure, se c’erano meno di 18 anni di contributi al 31.12.1995, il calcolo contributivo scatta su tutte le quote successive al 1° gennaio 1996. Per gli iscritti successivi al 1996 il calcolo è tutto contributivo.
Per quanto riguarda il calcolo effettuato con il sistema contributivo si deve prendere a base il coefficiente di trasformazione corrispondente al 57 esimo anno di età ove l’assicurato abbia un’età inferiore a quella appena indicata.
Integrazione al minimo
Qualora l’assegno risulti inferiore al trattamento minimo delle singole gestioni, lo stesso potrà essere integrato al trattamento minimo della gestione stessa. L’integrazione comunque non spetta ai soggetti che posseggono redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte l’ammontare annuo della pensione sociale. Per i soggetti coniugati e non separati legalmente, l’integrazione non spetta qualora il reddito, accumulato con quello del coniuge, sia superiore a tre volte l’importo della pensione sociale. Dal computo di tali redditi va escluso quello derivante dalla casa di abitazione.
N.b. esclusi dall’integrazione gli assegni liquidati esclusivamente con il sistema di calcolo contributivo.
La trasformazione in pensione di vecchiaia
Al compimento dei requisiti per il conseguimento della pensione di vecchiaia l’assegno ordinario di invalidità si trasforma d’ufficio in pensione di vecchiaia a condizione che sia cessata l’attività di lavoro dipendente. Per la trasformazione non è necessario presentare una specifica domanda. Ad esempio se un lavoratore raggiunge i 67 anni di età la sua prestazione sarà trasformata d’ufficio in trattamento di vecchiaia (naturalmente deve essere soddisfatto anche il requisito contributivo di 20 anni). La giurisprudenza prevalente ritiene che l’assegno non possa essere trasformato in pensione di anzianita’ e, quindi, in pensione anticipata.
La compatibilità con la prestazione di attività lavorativa La soglia di invalidità per il riconoscimento dell’assegno è costituita dai due terzi della capacità lavorativa. Pertanto il beneficiario può continuare a svolgere un’attività di lavoro produttiva di reddito e percepire, contemporaneamente, la prestazione previdenziale. Tuttavia qualora il reddito conseguito sia superiore a 4 volte il trattamento minimo inps vigente nel Fpld (circa 2mila euro) il trattamento dell’assegno viene ridotto del 25% della prestazione base. Mentre se è superiore a cinque volte l’importo dell’assegno si riduce al 50%.
In aggiunta a questa riduzione operano le norme di cumulo previste per i pensionati che svolgono attività lavorativa. In caso di lavoro dipendente il datore di lavoro trattiene per conto dell’Inps il 50% della parte eccedente il trattamento minimo che per l’anno 2018 è pari a € 507,42 mensili. In caso di lavoro autonomo la quota non cumulabile è pari al 30% della parte eccedente il trattamento minimo e comunque non può essere superiore al 30% del reddito prodotto. Il divieto di cumulo previsto per i pensionati che lavorano non si applica nel caso in cui l’assegno di invalidità risulta liquidato sulla base di almeno 40 anni di contribuzione
Trattamento ai superstiti
L’assegno ordinario di invalidità non è reversibile ai superstiti. Tuttavia, in caso di decesso del titolare dell’assegno, i suoi familiari potranno ottenere una pensione indiretta.
LA PENSIONE D’INABILITA’
La pensione di inabilità è una prestazione economica, erogata a domanda, in favore dei lavoratori per i quali viene accertata l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. L’inabilità identifica uno stato invalidità al 100% in cui il soggetto non può svolgere alcuna attività lavorativa, nemmeno a carattere temporaneo Si tratta dell’inabilità previdenziale, regolata dalla LEGGE 222/1984
Destinatari
La pensione di Inabilità previdenziale è riconosciuta nei confronti della generalità dei lavoratori iscritti presso l’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, i fondi sostitutivi della stessa, le gestioni speciali dei lavoratori autonomi che abbiano perso completamente la capacità di lavoro per cause esterne al rapporto di servizio. Dal 1996 la prestazione è stata estesa anche nei confronti dei dipendenti pubblici e ai lavoratori iscritti alla gestione separata.
Requisiti
Per il conseguimento della pensione di inabilità è necessario che il soggetto si trovi in condizione di infermità fisica o mentale tale da determinare un’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa (100% di invalidità); il soggetto deve altresì vantare almeno 5 anni di anzianità assicurativa (devono essere trascorsi almeno 5 anni dalla data di inizio dell’assicurazione) e contributiva, almeno 3 dei quali maturati nei 5 anni precedenti la domanda di pensione. Per il conseguimento del requisito contributivo, a differenza di quanto accade con l’assegno ordinario di invalidità, è possibile anche totalizzare, cioè cumulare gratuitamente i contributi versati in diversi fondi di previdenza.
Svolgimento di attività Lavorativa
La pensione di inabilità è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa sia di natura subordinata che autonoma, anche se se svolte all’estero. L’interessato inoltre deve essere stato cancellato dagli elenchi anagrafici degli operai agricoli, dagli elenchi nominativi dei lavoratori autonomi e dagli albi professionali oltre a dover rinunciare a qualsiasi trattamento contro la disoccupazione. Nel caso in cui, dopo aver conseguito la prestazione, si verifichi una delle predette cause di incompatibilità, il pensionato è tenuto a darne immediata comunicazione all’inps il quale revoca la pensione di inabilità sostituendola, ove ne ricorrano le condizioni, con l’assegno ordinario di invalidità. In tale ipotesi il pensionato sarà tenuto a restituire le eventuali differenze tra l’importo dei ratei di pensione di inabilità percepiti e quelli dell’assegno di invalidità dovuti.
Durata e Revisione
La prestazione non ha una durata prefissata a differenza di quanto accade con l’assegno ordinario di invalidità che viene rinnovato ogni tre anni. Essa, tuttavia, può essere sottoposta al procedimento di revisione previsto dall’articolo 9 della legge 222/1984 a seguito di iniziativa dell’Inps. In tale circostanza la prestazione può essere confermata, trasformata in assegno ordinario di invalidità (qualora si accerti una invalidità inferiore al 100% ma superiore ai due terzi) oppure revocata qualora il titolare dimostri il recupero della capacità lavorativa a piu’ di un terzo.
La misura
La prestazione è calcolata, in linea generale, sulla base dei contributi effettivamente versati. Il sistema di calcolo è misto se c’era contribuzione antecedente il 1996 secondo quanto prevedono le regole generali: retributivo sino al 2011 se c’erano almeno 18 anni di contributi accreditati entro il 31.12.1995 e contributivo sulle quote successive; oppure, se c’erano meno di 18 anni di contributi al 31.12.1995, il calcolo contributivo scatta su tutte le quote successive al 1° gennaio 1996. Per gli iscritti successivi al 1996 il calcolo è tutto contributivo. Ai fini della determinazione della misura c’è tuttavia una specifica normativa che consente di “sganciare” l’importo della pensione dai contributi versati per aiutare a conseguire un assegno piu’ elevato. Nello specifico, per le pensioni liquidate nel sistema misto o nel sistema contributivo, l’anzianità contributiva maturata viene incrementata virtualmente (nel limite massimo di 2080 contributi settimanali, pari a 40 anni) dal numero di settimane intercorrenti tra la decorrenza della pensione di inabilità e il compimento dei 60 anni di età (messaggio inps 219/2013). Questa contribuzione deve essere quantificata prendendo a base le medie contributive pensionabili possedute negli ultimi cinque anni e rivalutate ai sensi dell’articolo 3, comma 5 del Dlgs 503/1992. Il coefficiente di trasformazione, come per gli assegni di invalidità, dovrà essere quello relativo all’età di 57 anni per i soggetti che hanno un’età inferiore
Si ricorda, inoltre, che la prestazione può essere oggetto, ricorrendone le condizioni, di integrazione al trattamento minimo e/o delle maggiorazioni sociali previste dalla normativa vigente. Riguardo a tale ultimo profilo bisogna segnalare che i titolari del trattamento possono beneficiare, già al compimento del 60° anno di età, del cd. incremento al milione ai sensi dell’articolo 38 della legge 448/2001.
La trasformazione in pensione di vecchiaia
La pensione di inabilità non si trasforma automaticamente in pensione di vecchiaia come invece accade per l’assegno ordinario di invalidità. Perchè ciò avvenga è necessario che il pensionato possa far valere i requisiti di età e contributivi previsti per tale prestazione e presenti apposita domanda all’ente. A tal fine si ricorda che ai fini del raggiungimento del requisito contributivo per la prestazione di vecchiaia, nelle ipotesi di trasformazione, non possono essere considerati come contributi figurativi i periodi di godimento della pensione di inabilità (a differenza invece di quanto previsto con l’assegno di invalidità). Tale principio tuttavia è temperato dall’articolo 4, comma 4 della legge 222/1984 secondo il quale, nelle ipotesi in cui la pensione di inabilità cessi in seguito a recupero della capacità lavorativa da parte del titolare, i periodi di godimento della pensione di inabilità sono considerati come contribuzione figurativa.
Trattamento ai superstiti
La pensione di inabilità è reversibile ai superstiti. Pertanto, in caso di decesso del titolare dell’assegno, i suoi familiari potranno conseguire la pensione di reversibilità
L‘ASSEGNO PER ASSISTENZA PERSONALE CONTINUATIVA
L’art 5 della legge 222/1984 prevede che ai pensionati di inabilità (ordinaria o privilegiata) che si trovano nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbiano bisogno di assistenza continuativa, spetta un assegno mensile non reversibile il cui valore è pari all’importo dell’assegno mensile di assistenza personale erogato agli invalidi del lavoro dall’Inail.
L’assegno di accompagnamento non è dovuto in caso di ricovero in istituti di cura o di assistenza a carico delle pubbliche amministrazioni ed è inoltre alternativo al predetto assegno mensile dovuto dall’INAIL a titolo di assistenza personale ai sensi degli articoli 7218 del DPR 1124 del 6 e 1965 ove eventualmente già riconosciuto. Ebbene dato che il valore dell’assegno mensile di assistenza Inail è pari a 533,22 euro al mese l’assegno di accompagnamento erogato dall’Inps ai titolari di pensione di inabilità
La concessione dell’assegno per l’assistenza personale e continuativa è subordinata alla presentazione di apposita domanda da presentarsi all’Inps corredata da documentazione idonea a provare il possesso dei requisiti richiesti per il riconoscimento del diritto. In particolare l’assegno è riconosciuto solo ai titolari di pensione di inabilità (ex legge 222/1984) che si trovino nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbiano bisogno di assistenza continuativa.
L’assegno non può essere concesso, invero, ai titolari di assegno ordinario di invalidità; inoltre l’ammontare della prestazione non è cumulabile con analoghe prestazioni per la non autosufficienza concesse dallo Stato. In tal caso l’articolo 5 della legge 222/1984 prevede che il valore dell’assegno debba essere ridotto in misura corrispondente all’importo di prestazioni erogate da altre forme di previdenza obbligatoria o di assistenza sociale. E’ il caso, in particolare, dell’indennità di accompagnamento erogata in favore degli invalidi civili (legge 508/1988) o dell’assegno di assistenza e di accompagnamento erogato in favore dei titolari di pensione privilegiata a carico delle gestioni ex inpdap (art. 107 Dpr 1092/1973).
La prestazione, che ha natura previdenziale, viene riconosciuta a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda ovvero a quello di perfezionamento dei requisiti se insorti successivamente a tale data nel corso del procedimento amministrativo.